Del buon uso del presente e del reale nell’arte: una bella lezione da una mostra a Pienza

FURIO DURANDO

A Pienza, nel palazzo Piccolomini, è aperta la bella mostra Da Palizzi a Severini: circa 70 opere di una collezione privata invitano a un itinerario fra i “linguaggi di realtà” che caratterizzarono la pittura fra metà Ottocento e metà Novecento.

Paesaggi, narrazioni di vita quotidiana, ritratti nei quali prevale la poetica della “macchia” di matrice toscana invitano a chiedersi perché tanti giovani artisti italiani si focalizzarono nella descrizione minuta e scioltamente minuziosa del mondo rurale e dei suoi abitanti, come attestano paesani dal “volto di pietra scolpito” (Filippo Palizzi), giovani donne con un bimbo in braccio, “risaiole”, mandrie transumanti, bovi al carro, case coloniche, borghi, mercati “grossi” (uno spettacolare Vincenzo Irolli e l’ottimo Gino Tommasi, macchiaiolo di terza generazione, presente con diverse piccole opere); e così anche la quieta pazienza di cavalli da tiro con la sacca della biada (Giovanni Bartolena), la trama precaria di tralicci per cavare sabbia fluviale (un Achille Vertunni, scuola di Posillipo, con la potenza di un Rosai mezzo secolo prima), le scene agresti nelle quali l’apuano Giuseppe Viner mescolò visioni sospese tra Millet, van Gogh, Previati e Segantini.
Fu “nostalgia del presente”. L’unità geo-politica d’Italia era in compimento, il progresso trasformava città e classi, fermenti ideali, pulsioni, entusiastici fervori accendevano visioni proiettate in avanti (le avrebbero cantate i Futuristi). Questi artisti, fortemente intrisi di presente, non di rado protagonisti o paladini del Risorgimento, aperti al sociale, a volte ribelli e bohèmiens, trovarono l’essenza poetica in un presente destinato a tramontare, nella quieta malinconia d’un mondo atavicamente ai margini, da sempre merce e terreno di battaglia e da preda, e tuttavia radice millenaria d’una civiltà solida e invisibile. Marginalità serena, contenta provincialità, semplice e dimessa bellezza di greggi al pascolo, ortaglie, aie: un’Arcadia minore destinata a sparire e oggi sparita o trasformata nell’oleografica ruralità de charme dall’Orcia al Salento.
Sulla linea del tempo, fu il tumulto delle avanguardie, la prevaricante, fatale centralità della modernità urbana a sospingere, ai primi del Novecento, la rappresentazione del reale verso soggetti diversi: i riti, le passioni e il tedio borghesi sono (realisticamente!) narrati in mostra dall’altrimenti visionario Lionello Balestrieri (L’addio, tra Degas e Munch) o da stupendi ritratti di Gino Severini pre-futurista; in parallelo l’elegia minimale e nostalgica dei Macchiaioli si trasformò nell’insulso stornellare celebrativo d’un’italianità strapaesana (ben espresso dal sonetto Incontadinamento di Papini).
La progressiva volontà di sedazione estetica e critica del pubblico, poi funzionale alla cultura di regime, si coglie nelle opere del maremmano Paride Pascucci (1866-1954). La sua poetica è tardo-verista, con protagonisti silenti o dissociati (Cena in Maremma, versione politicamente disinnescata dei Mangiatori di patate di van Gogh; e Il padre, con un’atmosfera a metà fra von Stuck e Morbelli).
Il buon uso del reale e del presente torna invece in un’opera tarda del Pascucci, che dopo un personale aventino afascista, osò sfidare regime e nazisti nel neo-macchiaiolo Macinatura di breccia presso Manciano (1943). Presso una casa sulla cui facciata è uno dei tromboneschi motti del Duce («Noi diciamo che solo Dio può piegare la volontà fascista, gli uomini e le cose mai»), alcuni operai stanno frantumando macerie per ricavarne nuovo materiale edilizio: simbolico invito alla ricostruzione in un territorio nel quale la Resistenza partigiana sta scrivendo pagine epiche contro gli occupanti e la RSI loro asservita. La beffarda smentita del proclama mussoliniano si fonda su volontà e fatti: uomini e cose si preparano a costruire, con fatica e coscienza della propria identità sociale, una nuova Italia. Da vedere.
 
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LA MOSTRA
«Da Palizzi a Severini. Pittori italiani tra Ottocento e Novecento nella raccolta Bologna Buonsignori».
A cura di Silvestra Bietoletti, Roberto Longi, Laura Martini.
Pienza (Si), Palazzo Piccolomini.
Fino al 29 ottobre 2023.

 

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Filippo Palizzi, Ritratto maschile, 1858

 

pastedGraphic 1Gino Severini, Ritratto femminile, 1904

 

pastedGraphic 2

Paride Pascucci, Macinatura di breccia presso Manciano, 1943